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Raccontare...Raccontarsi...Farsi raccontare...

Dedico questo spazio a coloro che abbandonandosi sui cuscini del mio divano, si sono raccontati.

Li ringrazio per avermi concesso di raccontare le loro emozioni in questo blog.

Le loro esperienze di vita mi hanno resa più ricca, quel genere di ricchezza che è bello condividere.

 ....se odiare ti consuma, prova con il perdono, per quello che hai fatto, ma soprattutto per quello che credi di aver fatto...

Procedevo in silenzio, mantenendo la fila, lungo il corridoio fiocamente illuminato che conduceva al dormitorio dell'orfanotrofio.

Al di là delle grandi vetrate s'intravedeva una notte livida, senza luna e senza stelle.

Un brivido di freddo mi corse lungo la schiena.

Il ricordo di mia madre mi pungeva l'anima.

Con sgomento mi domandavo che fine avesse fatto.

"Io, prima o poi, me ne andrò..."

L'odioso ritornello che ripeteva di continuo, senza empatia alcuna nei miei confronti e con malcelata acredine verso mio padre, rimbalzò, come eco maligno, dentro le mie orecchie.

Un groppo alla gola mi strozzò il respiro, goccioloni di calde lacrime gonfie di malinconia rigarono il mio pallido volto.

Il mio stomaco, stretto da una morsa d'acciaio, altalenava su e giù in un tormentoso saliscendi.

Quella notte buia, senza luci e senza suoni, che tanta atavica paura m'incuteva, sospinta da lugubre vento filtrò dalle grandi vetrate e scivolò dentro di me.

La cocente e immeritata ferita che mi era stata inferta da chi di più amavo al mondo fece sanguinare copiosamente il mio orgoglio e da essa all'unisono scaturirono rabbia e angoscia.

E, ahimè!

Piombando all'improvviso in quell'ambiente in cui regnavano pace e serenità provai un enorme sollievo per essermi lasciata alle spalle quello cupo e solitario in cui ero cresciuta. Gioia ed entusiasmo esplosero in me, come mine vaganti, conquistandosi con prepotenza una parte del mio essere.

Quelle emozioni contrastanti iniziarono a urlare, a urtarsi, ad accapigliarsi creando una grande baraonda nel mio cervello.

Una cruenta battaglia scoppiò tra le opposte fazioni e una ridda di pensieri affollò la mia mente.

Una mente infantile che plasmò, per mera sopravvivenza, la realtà con la fervida fantasia di una bimba di solo otto anni.

Obbedendo a un' inconscia pulsione interiore la mia psiche elaborò una diabolica quanto rassicurante equazione:

"Star bene lontano = perdita d'affetto".

Di certo mi suggerì la strada più veloce per dileguare quell'ansia dilagante che mi stava torturando.

Così, mentre di giorno assaporavo il piacere di un sano divertimento giocando e scherzando con lo stuolo di bambine le cui risa costellavano quel collegio di suore dalle candide cuffiette, di notte deglutivo l'amaro boccone di una inaudita sofferenza che, in preda a laceranti sensi di colpa, mi procuravo nel vano tentativo di allontanare da me lo spauracchio dell'abbandono.

Un acerbo conflitto che mi spaccò in due e che in età adulta sfociò in un doloroso autolesionismo.

Mia madre ritornò,dopo qualche tempo, sotto il tetto coniugale riprendendomi con sé.

Per difesa e per vendetta congelai al suo cospetto ogni mio, se pur misero, anelito di vita calandomi nel ruolo di bambina forte, altera e che bastava a se stessa, indossando al contempo una maschera che mi donava le sembianze di figlia premurosa e sempre compiacente.

Disprezzo e alterigia nascondevano un enorme bisogno d'affetto.

Precipitai in un inferno di ghiaccio dove il freddo bruciava più del fuoco!

L'amata maestra delle elementari fu la mia salvezza, a ella riservai tutta la mia parte vitale, la mia rumorosa, infantile, esuberanza e la mia indisciplinata vitalità.

"Questo è il magico albero del pane, della Luce e della Provvidenza..."

Così rivelò la mia maestra alla chiassosa scolaresca indicando il monumentale castagno che si ergeva maestoso nel bosco.

"...E questi sono i suoi divini frutti, così armati perché nascondono dentro un tesoro inestimabile da difendere: la volontà di vivere e d'amare". Concludendo con queste parole la sua lezione di vita ella mi strizzò l'occhio con affettuosa complicità. La mia maestra, il mio albero del pane, che abbracciò sempre con il suo tronco e i suoi rami il mio inquieto animo tenendo viva in me la fiammella della vita e dell'amore. Seguendo le linee di un disegno tracciato per me da mano invisibile raccolsi quelle irsute e magiche castagne e con religiosità le riposi dentro al mio freezer. La mia vita restò legata a doppio filo con quella di mia madre fino al giorno in cui scoprii l'efferato tradimento di mio marito che sancì la mia rinascita come figlia e in seguito anche come donna. Annichilita dalla sua baldanzosa ferocia nei miei confronti reagii con modalità inverosimile e come ape operosa volai di fiore in fiore alla ricerca della mia perduta autostima annientata, con perfido ghigno, dal mio amato Principe del Deserto. A un tratto tutto mi fu chiaro! Mia madre apparve ai miei occhi non più solo come madre ma anche e soprattutto come donna. Una donna qualsiasi che, come me, in grave difficoltà emozionale si era persa dentro quel labirinto di frustrazione e confusione che è un tradimento subito. Mia madre non mi aveva mai abbandonato! Il mostro era dentro di me! Io, l'avevo abbandonata infliggendole quale tremenda punizione la mia lontananza affettiva, condannando così entrambe a una profonda solitudine. Una lama di luce attraversò la mia anima fugando la notte buia. L'invisibile si fece visibile. Mi perdonai! E con trepidazione scongelai i luminosi frutti dell'albero del pane. All'istante sentimenti, sogni, desideri ed emozioni infreddoliti si stiracchiarono e insonnoliti uscirono barcollando fuori dal mio irsuto guscio scaldandosi al caldo raggio d'amore scaturito dalla mia rinascita.  Come rampollo giovinetto di castagno che sorge dal vecchio ceppo rigoglioso di vita preparai un delizioso mont-blanc. "Prendine mamma, è dolcissimo! Si scioglie in bocca come neve al sole..." L'Araba Fenice

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